Le Mans ’66 – La grande sfida
Le immagini di Le Mans ’66 appartegono alla 20th Century Fox e Chernin Entertainment.
Einstein ha detto: “tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare finché non arriva uno sprovveduto, che non lo sa, e la inventa “.
Questo è lo spirito di Le Mans 66, questo è il merito dei due protagonisti. Fanno parte di quella cerchia di uomini che non seguono la corrente, non si adeguano a schemi predefiniti per loro ma li cambiano, deviano il corso del fiume della vita per creare, per cambiare le cose, per vincere.
Gli uomini spinti da profonde passioni, da istinti primordiali che partono dall’anima stessa, non si possono imbrigliare nelle convenzioni, non si possono chiudere in un recinto o in un officina.
Uomini di questo stampo sono destinati a vivere al limite, alla ricerca di quella perfezione ideale che può sembrare irraggiungibile: il giro perfetto, la vittoria contro ogni pronostico, lo spingersi oltre quei settemila giri del motore per vedere che succede.
Non puoi pensare di sposare un uomo simile e tenerlo a casa ad ingrassare e a sbarcare il lunario e questo la signora Mollie Miles, interpretata da una deliziosa Catriona Balfe, lo sa benissimo.
Un Christian Bale in stato di grazia, mi verrebbe da chiedermi quando non lo è, che sembra fare un mestiere a parte. Il suo Ken Miles si lascia guardare nell’animo inquieto, attraverso il cuore puro, senza filtri, senza segreti. I suoi occhi vividi sembrano raccontare tutti i suoi sogni, tutte le gare possibili, tutte le vittorie a portata di acceleratore.
La coppia con Matt Damon, che interpreta Carrol Shelby, è amalgamata ed armonica e sinceramente il buon Matt non mi commuoveva ed emozionava così dai tempi di Will Hunting.
Se Miles ti fa sorridere, sognare, sperare, su un motore di adrenalina pura, Shelby ti tocca il cuore e ti strappa pure qualche lacrima. La vita degli uomini eccezionali può essere estremamente normale e ti ritrovi ad osservare uno straordinario pilota che è un padre altrettanto straordinario, affettuoso, divertente e premuroso.
Gli occhi grandi ed intensi del giovane Noah Jupe, che interpreta il piccolo Peter Miles, raccontano una storia più intima e privata, una storia di famiglia, dolce e impossibile da dimenticare. A fare da sfondo a queste anime belle i soliti giochi di potere tra il colosso Ford e la Ferrari.
Mi era stato detto che Le Mans ’66 aveva un punto di vista molto americano e che la figura del nostro Enzo Ferrari ne usciva distrutta. Niente di più falso. Ferrari combatte la sua guerra con stile e senza cadere nella slealtà, cosa che invece riesce piuttosto bene ai dirigenti della casa automobilistica americana.
Alla fine dei giochi egli si dimostra un vero signore che riconosce i meriti del suo avversario, viceversa il vecchio John Ford II non sarà neppure in grado di gratificare giustamente chi ha combattuto per lui, dimostrando la sua totale mancanza di gratitudine e il suo ego smisurato. In questo quadro è proprio la Ford ad uscire moralmente sconfitta.
Ken Miles è morto troppo presto, e questa è storia non uno spoiler, ma mi piace pensare che sia su in cielo, su una pista speciale, una Le Mans 2.0 e che corra su una Ferrari rossa fiammante, con la fiducia e il sorriso di Enzo sugli spalti. Mi piace pensare ad una rivincita morale in cui passando Ken faccia un gigantesco dito medio a quel “maiale” di John Ford dopo aver tagliato il traguardo.
James Mangold mi ha emozionato anche stavolta, come in “Logan”, come in“Un treno per Yuma” o “Quando l’amore brucia l’anima”, rimarcando di essere molto bravo a rendere dei caratteri maschili forti ed emotivamente tormentati.
Le Mans ’66 è un film da vedere, perché ti elettrizza, ti porta in un mondo di velocità ed adrenalina ma poi ti mostra la grandezza di un’anima e te la lascia guardare mentre brilla come una supernova, mentre mostra agli altri come si fa a fare più luce.